A Milano e in tutta la zona industriale limitrofa lo sciopero assume subito un carattere generale. Accanto agli operai delle fabbriche, si fermano infatti per tre giorni anche i tranvieri, paralizzando così il trasporto pubblico della città, gli operai del “Corriere della Sera”, che per tre giorni di seguito non esce in edicola, e gli impiegati della Edison e della Montecatini.
Il generale delle SS Paul Zimmerman decreta lo stato d’assedio delle fabbriche, intima la consegna delle liste degli operai schedati come sovversivi, fa sospendere ogni pagamento dei salari. Ma lo sciopero non si arresta e prosegue sino all’8 marzo, coinvolgendo sia le grandi fabbriche che le decine e decine di piccole e medie industrie.
Alla Breda di Sesto San Giovanni un ufficiale delle SS intima agli operai: “Chi non lavora esca dalla fabbrica e chi non lavora ed esce dalla fabbrica, è un nemico della Germania”. Gli operai gli rispondono uscendo, a uno a uno, dalla fabbrica. Sempre a Sesto San Giovanni, la Magneti Marelli entra in sciopero compatta alle 10 esatte del 1° marzo: è un’operaia di 18 anni, Teresina Ghioni, che si prende l’incarico di abbassare, sotto gli occhi dei tedeschi, le leve a coltello per interrompere l’erogazione di energia elettrica all’intero stabilimento. Molte fabbriche, tra cui la Pirelli, vengono occupati militarmente. Si calcolano circa trecentomila scioperanti sin dal primo giorno, nonostante la reazione dei nazifascisti che mettono in atto ogni mezzo per cercare di fermare i lavoratori: arresti, deportazioni, ritiro delle tessere alimentari.
Particolarmente combattiva è la città di Legnano, dove gli operai della Franco Tosi anticipano di quasi due mesi gli scioperi del marzo.